Valida la penale a carico del lavoratore che non prende servizio entro la data d’inizio del rapporto di lavoro

Il Tribunale di Forlì con la sentenza del 21 marzo 2023, ha dichiarato la legittimità della clausola inserita nella lettera di assunzione in forza del quale le parti hanno previsto la risoluzione del contratto e l’obbligo, a carico del dipendente, di pagamento di una penale nel caso in cui il lavoratore non avesse preso servizio entro la data concordata di inizio del rapporto di lavoro per motivi a lui imputabili.

Il caso: un lavoratore e una società datrice di lavoro avevano sottoscritto un lettera di assunzione differendo l’efficacia della stessa poiché al momento della sottoscrizione il lavoratore era dipendente di altra società. All’interno della lettera di assunzione firmata dalle parti, veniva stabilito un periodo di prova di sei mesi, una clausola risolutiva espressa e una clausola penale a carico del lavoratore pari all’indennità sostitutiva del preavviso previsto in caso di licenziamento, da corrispondere nel caso in cui, non avesse preso effettivo servizio entro la data convenuta, per motivi a lui imputabili.

Dato il rifiuto del lavoratore a corrispondere quanto previsto nella lettera di assunzione, la società richiedeva ed otteneva dal Tribunale di Forlì un decreto ingiuntivo con cui intimava al lavoratore il pagamento della penale.

Il lavoratore si opponeva a suddetto decreto.

Perché c’interessa: le sentenza in oggetto risulta interessante sotto un duplice aspetto.

Per un verso, i giudici di legittimità hanno dichiarato valida la “clausola di rispetto della data concordata di presa servizio” apposta nella lettera di assunzione, in quanto espressione di autonomia contrattuale ai sensi dell’art. 1322 c.c. 

Invero, il Tribunale di Forlì afferma che “se è vero che la disciplina del contratto di lavoro segue un regime speciale ai sensi del libro V del c.c., è pur vero che anche in questa materia rimane vigente il principio di autonomia contrattuale delle parti, così come stabilito all’art. 1322 c.c.”.

Per altro verso, il giudice, ritenendo infondata l’eccezione di incompatibilità della clausola risolutiva espressa e della calusola penale in esame con la previsione del patto di prova sollevata dal lavoratore, ha delineato le differenze tra le due previsioni contrattuali.

La previsione di una clausola risolutiva espressa e della penale e nel contratto sottoscritto dai contraenti, infatti, afferisce ad un momento precedente all’effettiva presa di servizio ed è finalizzata a tutelare l’interesse della società all’assunzione del ricorrente e al risarcimento forfetario del danno da eventuale inadempimento dell’impegno di prendere servizio alla data concordata.

Il patto di prova, invece, trova attuazione a rapporto già costituito e quindi dopo la della presa in servizio del lavoratore rispondendo “ad un interesse differente e specifico delle parti, quello di saggiare la reciproca convenienza del contratto”, tramite accertamento da parte del datore delle capacità del lavoratore e consentendo a quest’ultimo di verificare l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto.

A conferma di quanto esposto, il Tribunale ha dichiarato che “perché si possa invocare la libera recedibilità prevista per il periodo di prova ai sensi dell’art. 2096 c.c., è però necessario che il rapporto si sia costituito e che le parti abbiano consentito e svolto l’esperimento che forma oggetto del patto di prova e nel caso di specie, al contrario, parte opponente non aveva ancora effettivamente preso servizio presso la società resistente”.