La comunicazione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo può essere contenuta nel verbale attestante l’esito negativo dell’avvenuto tentativo di conciliazione.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10734/2024, ha dichiarato che il tenore letterale dell’art. 7 Legge n. 604/1966 “non impone che la comunicazione del licenziamento, consentita al datore di lavoro se fallisce il tentativo di conciliazione, debba intervenire in un contesto differente e successivo a quello del verbale”.

Il caso: Un ente, a fronte dell’esito negativo del tentativo di conciliazione di cui all’art. 7 L. n. 604/1966 – obbligatorio per gli assunti prima del 07.03.2015 – comunicava ad una lavoratrice il suo licenziamento per giustificato motivo oggettivo in sede di redazione del verbale conclusivo della suddetta procedura. 

Successivamente, la lavoratrice proponeva ricorso avanti il Tribunale di Catania per ottenere la dichiarazione di illegittimità del predetto licenziamento, sostenendo, tra l’altro, che lo stesso fosse nullo in quanto comminato in violazione del requisito della forma scritta.

Il Tribunale, escludendo l’equipollenza tra l’apposita comunicazione scritta del licenziamento e la manifestazione di volontà intervenuta in sede di redazione del verbale conclusivo della procedura de qua, accoglieva il ricorso della lavoratrice e, ritendo nullo il licenziamento in quanto orale, accordava a quest’ultima, la piena tutela reintegratoria ai sensi dell’art. 18, co. 1, della L n. 300/70. 

L’ente, quindi, impugnava la predetta decisione avanti la Corte d’Appello di Catania, censurando le argomentazioni del Tribunale in punto di forma scritta del licenziamento, assumendo che l’espressione della volontà di recedere dal rapporto, travasata in un verbale scritto e firmato da entrambe le parti, soddisfacesse le funzioni connesse al prescritto requisito di forma.

La Corte Territoriale, accogliendo il gravame dell’ente, escludeva che il licenziamento fosse stato posto in violazione del requisito di forma scritta, ma, ritenendo che vi fosse stato violazione dei criteri di buona fede e correttezza nella scelta del personale da licenziare, riconosceva comunque alla lavoratrice la tutela risarcitoria di cui all’art. 18 co. 7 L. n. 300/70.

La lavoratrice, quindi, proponeva ricorso in Cassazione avverso la predetta sentenza.

Perché ci interessa: l’ordinanza della Suprema Corte ha affermato che il datore di lavoro è legittimato ad intimare il licenziamento anche contestualmente alla conclusione della procedura ex art. 7 L. n. 604/1966, tramite formalizzazione per iscritto della volontà di recedere dal rapporto di lavoro nell’ambito del verbale conclusivo della predetta procedura.

In particolare, il Collegio ha osservato che il dettato normativo del terzo periodo del comma 6 dell’art. 7 L. n. 604/1966 (“se fallisce il tentativo di conciliazione […], il datore di lavoro può comunicare il licenziamento”) delinea una condizione legale sospensiva che, una volta avveratasi, consente al datore di lavoro di comminare il licenziamento.

Per la Corte di Cassazione la verificazione della suddetta condizione sospensiva, e cioè il fallimento del tentativo di conciliazione, costituisce un dato giuridicamente distinto e anteriore rispetto alla chiusura della procedura con la relativa verbalizzazione, la quale, pertanto, ben può attestare l’esito negativo del tentativo ed essere sede della comunicazione di licenziamento.

Inoltre, per il Collegio, il tenore testuale della disposizione in esame “non impone che la comunicazione del licenziamento, consentita al datore di lavoro “Se fallisce il tentativo di conciliazione”, debba intervenire in un contesto differente e successivo a quello del verbale suddetto”.

Per concludere la Suprema Corte ha dichiara che, qualora il tentativo di conciliazione obbligatorio fallisca, “alcuna esigenza di tutela degli interessi del lavoratore potrebbe plausibilmente giustificare l’assunto che la comunicazione del licenziamento al lavoratore debba necessariamente intervenire in un contesto distinto dal verbale redatto in sede d’incontro davanti alla commissione apposita, a patto beninteso che per la comunicazione del licenziamento già espressa in quella sede siano osservate le ulteriori prescrizioni in tema di licenziamento, a cominciare da quella della forma scritta ex art. 2, comma 1, l. n. 604/1966”.

Alla luce di tali osservazioni, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo comunicato per iscritto dal datore di lavoro in sede di verbalizzazione conclusiva dell’esito negativo del tentativo di conciliazione obbligatorio ex art. 7, co. 6 L. 604/66.