Con l’ordinanza 11 luglio 2022 n. 21865, la Corte di Cassazione ha riaffermato che, ai fini della sussistenza del mobbing in ambito lavorativo, “non è condizione sufficiente l’accertata esistenza di una dequalificazione o di plurime condotte datoriali illegittime, essendo a tal fine necessario che il lavoratore alleghi e provi, con ulteriori e concreti elementi, che i comportamenti datoriali siano il frutto di un disegno persecutorio unificante, preordinato alla prevaricazione (Cass. n. 10992/2020)”.

Il caso: un medico, che aveva in precedenza agito in giudizio nei confronti della struttura sanitaria presso la quale lavorava per ottenere l’accertamento del danno alla professionalità e alla carriera, ricorreva avanti il Tribunale di Cremona per vedere condannato il medesimo ospedale al risarcimento dei danni patiti in conseguenza di asseriti comportamenti mobbizzanti.

Il primo grado di giudizio si concludeva con il rigetto delle domande del professionista, decisione poi integralmente confermata dal Giudice di seconde cure.

In particolare, la Corte di Appello di Brescia fondava l’esclusione della configurabilità di un’ipotesi di mobbing sulla scorta del fatto che le condotte datoriali denunciate dal medico avessero carattere meramente occasionale e fossero totalmente prive di intento vessatorio.

Perché ci interessa: con l’ordinanza in commento, la Suprema Corte ha nuovamente puntualizzato quali presupposti debbano sussistere affinché la condotta del datore di lavoro possa integrare una fattispecie di mobbing: devono ricorrere, invero, due elementi costitutivi, uno obiettivo – una pluralità di sistematici e reiterati abusi – l’altro soggettivo, dato dalla coscienza e volontà del datore di lavoro di cagionare danni, di vario tipo ed entità, al dipendente (cfr. Cass. 11 dicembre 2019 n. 32381, Cass. 21 maggio 2018 n. 12437, Cass. 7 agosto 2013 n. 18836, App. Milano 24 luglio 2019 n. 937, Trib. Roma 5 dicembre 2020 n. 8703).

La decisione in commento si pone nel solco già ampiamente tracciato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito sul punto, secondo cui, ai fini della configurabilità del mobbing e del conseguente diritto al risarcimento del danno, sono necessari: i) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente; ii) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; iii) il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore; iv) l’intento persecutorio (si vedano, ex multis, Cass. n. 1109/2020, Cass. n. 11777/2019, Cass. n. 10285/2018, Cass. n. 24029/2016, Cass. 19 n. 19782/2014, Cass. n. 17698/2014, Cass. n. 898/2014, Cass. n. 12725/2013, Cass. n. 87/2012, Cass. n. 28692/2011, Cass. n. 12048/2011, Cass. n. 7382/2010, Cass. n. 3785/2009, App. Bari n. 126/2021, Trib. Modena n. 302/2021, Trib. Cassino n. 278/2020)

Si ha, pertanto, mobbing solamente allorquando sussista una molteplicità di comportamenti posti in essere con intento vessatorio e preordinati alla prevaricazione o alla persecuzione psicologica del lavoratore, mentre, al contrario, sporadiche condotte datoriali, benché illegittime, non sono idonee a integrare il mobbing.