Sempre più spesso le attività “social” dei lavoratori divengono oggetto di contestazione disciplinare da parte del datore di lavoro. Ma quali sono i limiti del potere disciplinare del datore di lavoro? Vediamoli di seguito.
Utilizzo dei social in orario di lavoro
L’eccessivo tempo speso dal dipendente su siti internet privi di utilità per lo svolgimento di mansioni lavorativa durante l’orario di lavoro costituisce una condotta legittimamente contestabile dal datore di lavoro.
Questo è quanto stabilito dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 3133/2019, ha confermato la decisione della Corte d’appello di Brescia che aveva ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato a una dipendente per uno smodato accesso a siti internet (tra cui il social network Facebook).
La mole di tempo dedicato dalla lavoratrice alla consultazione dei suddetti siti internet, non si giustificava, ad avviso dei giudici di merito, con le esigenze connesse all’adempimento della prestazione lavorativa ed era, invece, conferma di un comportamento gravemente inadempiente ai doveri di fedeltà e diligenza sussistenti in capo alla dipendente.
Post e chat
Anche il post che denigra il datore di lavoro può essere oggetto di contestazione disciplinare.
La giurisprudenza di legittimità ha infatti ritenuto che tale tipo di pubblicazione costituisca un condotta diffamatoria e pertanto giustifichi il recesso per giusta causa da parte del datore di lavoro.
Ad onor del vero, il Supremo Collegio, con la pronuncia n. 27939/2021, se da un lato ha ribadito l’esigenza di tutela della libertà e segretezza dei messaggi scambiati in una chat privata in quanto diretti ad uno o più destinatari determinati (e, pertanto, da considerare come corrispondenza privata, chiusa e inviolabile), dall’altro ha ritenuto che la pubblicazione, da parte di una lavoratrice di un post denigratorio sul proprio profilo Facebook possa determinare la circolazione del messaggio tra un gruppo indeterminato di persone e quindi essere idonea a ledere irreparabilmente il vincolo fiduciario nel rapporto lavorativo.
Evidenziamo, inoltre, che la Corte di Cassazione ha ritenuto legittima l’acquisizione da parte del datore di lavoro dei posti pubblicati dalla dipendente su Facebook in quanto la stessa non aveva mai segretato la visualizzazione dal proprio account a terzi non rientranti nella propria “lista amici”.
Like ed emoticon
Non sfuggono dal campo di applicazione del potere disciplinare nemmeno i “like” e le “emoticon”.
L’apposizione di like e emoticon a un post dal contenuto denigratorio, infatti, può costituire una condotta che condivide l’offensività del post in quanto, contribuendo alla diffusione dello stesso, ne aumenta l’effetto diffamatorio.
Di questo avviso è il Tribunale di Crotone che, con la sentenza del 1.04.2021, ha ritenuto che il like apposto da una lavoratrice ad un post denigrante rivolto il datore di lavoro pubblicato da un collega della stessa costituisse condotta idonea a giustificare il licenziamento disciplinare di quest’ultima.
Medesima sorte spetta alle emoticon.
Il tribunale di Roma ha ritenuto legittimamente inserita tra le condotte contestate a una lavoratrice l’apposizione ad un video Tik Tok di emoticon volte a veicolare un messaggio denigratorio nei confronti del datore di lavoro (sentenza del 30.06.2023).