L’osservanza di un orario di lavoro minimo costituisce, in sé considerata, indice rilevatore dell’autonomia del rapporto lavorativo tra medico e ospedale?

Con la sentenza n. 3407/2022, la Corte di Cassazione ha recentemente riaffermato che, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato o autonomo, “il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, deve essere necessariamente accertato o escluso mediante il ricorso a elementi sussidiari (…) che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indici di subordinazione” dal giudice, avendo riguardo alle concrete modalità di esecuzione della collaborazione.

In particolare, la Suprema Corte, accertata la mancata sottoposizione di un medico a qualsivoglia potere gerarchico e disciplinare, ha ritenuto di confermare la natura autonoma del rapporto libero-professionale tra il professionista e la struttura ospedaliera, pur a fronte della previsione nel contratto di lavoro di un orario minimo settimanale di 36 ore. Invero, l’osservanza di un orario di lavoro da parte di chi esercita la professione medica ben può costituire elemento “di mero raccordo delle prestazioni con l’organizzazione della struttura e di fisiologica interazione con gli altri sanitari ad essa appartenenti”, di per sé inidoneo a “integrare il requisito della eterodirezione, anche nella forma «attenuata» in cui essa si presenta nei casi di attività intellettuali o professionalmente molto qualificate”.

Il caso.

Un medico ricorreva avanti il Tribunale di Roma per ottenere l’accertamento della natura subordinata dei plurimi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa intercorsi con la struttura sanitaria presso la quale lavorava.  

Il primo grado di giudizio si concludeva con l’accoglimento delle richieste del professionista, con condanna dell’ospedale alla corresponsione di un risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni percepite.

Avverso la suddetta pronunzia la struttura ospedaliera proponeva ricorso in appello, che si concludeva con la sentenza n. 867/2017 – oggetto del pedissequo giudizio di legittimità proposto dal medico – con la quale il Giudice di seconde cure, in accoglimento del gravame, accertava che le parti avevano reiteratamente inteso escludere qualsivoglia vincolo di subordinazione, pur nella previsione di un obbligo per il professionista di raccordarsi, con riguardo ai tempi e ai modi della prestazione, con le esigenze di buon andamento del servizio e con quelle di organizzazione interna della struttura ospedaliera.

Lo scrimine tra rapporto di lavoro subordinato e rapporto di lavoro autonomo.

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio, ormai recetto, secondo cui in caso di prestazioni di natura intellettuale, ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato o autonomo, il primario parametro distintivo della subordinazione, intesa come assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo del datore di lavoro, deve essere necessariamente accertato o escluso mediante il ricorso ad elementi complementari e sussidiari– quali l’osservanza di un orario lavorativo, l’assenza di rischio economico, la continuità della prestazione resa, la cadenza e la misura della retribuzione, l’impiego di strumentazioni imposte dall’organizzazione imprenditoriale – aventi portata meramente sussidiaria, e non già decisiva, ai fini della qualificazione della natura del rapporto lavorativo (si vedano, ex multis, Cass. n. 12871/2020, Cass. n. 6643/2012, Cass. n. 5886/2012, Cass. n. 5534/2003, Cass. n. 4889/2002, Cass. n. 5888/1984, Cass. n. 2728/1983, Cass. S. U. n. 2875/1982, Cass. n. 34/1980, Cass. n. 2700/1972).

Il rispetto di un orario lavorativo quale indice neutro ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro.

In particolare, con riferimento all’orario di lavoro minimo, la pronuncia de qua si pone nel solco – già tracciato dai giudici di merito e di legittimità – secondo cui il rispetto di un orario lavorativo da parte del personale medico, a prescindere dalla tipologia di contratto di lavoro o incarico, costituisce elemento indefettibile nell’ambito dell’organizzazione interna di un ospedale (così Cass. n. 3471/2003, Trib. Milano ordinanza n. 15970/2022, Trib. Milano sentenza n. 1031/2018, Trib. Milano sentenza n. 1516/2018, Trib. Bergamo ordinanza n. 6026/2017, Trib. Milano sentenza n. 2850/2012, Trib. Bergamo sentenza n. 919/2012, Trib. Milano sentenza n. 3281/2009).

Anzi, la giurisprudenza ritiene che sia impensabile che i professionisti aventi una libera collaborazione con le strutture sanitarie possano decidere in via del tutto autonoma come procedere con le visite e gli interventi, prescindendo totalmente dalle esigenze organizzative dell’ospedale. Al contrario, considerate la natura e la destinazione delle prestazioni del personale medico, è indispensabile che le stesse siano coordinate con la struttura sanitaria al fine di garantire il corretto funzionamento e la continuità dei servizi di cura che un istituto ospedaliero è tenuto necessariamente ad assicurare per legge, al fine della tutela del bene superiore della salute (Cass. S.U. n. 1152/1982, Trib. Milano sentenza n. 1991/2020, Trib. Milano sentenza n. 1031/2018, Trib. Milano sentenza n. 2850/2012).

La legislazione regionale in tema di orario di lavoro minimo dei medici libero professionisti.

A maggior conforto di quanto statuito dalla consolidata giurisprudenza sul punto, teniamo altresì ad evidenziare che anche la legislazione regionale di settore ha previsto che il personale medico che intrattiene rapporti di incarico libero-professionale con le istituzioni sanitarie convenzionate debba avere un impegno orario settimanale, debitamente programmato e risultante in un apposito schema di distribuzione delle attività giornaliere, che sia almeno pari a quello previsto per i medici del servizio sanitario nazionale (si vedano artt. 30 e 31 della Legge Regionale della Lombardia 6 febbraio 1990 n. 7 e deliberazioni della Giunta della Regione Lombardia n. 2569/2014, n. 3540/2012 e n. 38133/1998).

La programmazione dell’attività lavorativa dei libero-professionisti sanitari attraverso la previsione contrattuale di un orario di lavoro minimo, pertanto, è del tutto compatibile con una prestazione di lavoro autonomo, per il che, in assenza di ulteriori elementi che consentano di ritenere che l’attività sia stata eterodeterminata nelle sue concrete modalità di svolgimento, non è possibile far discendere, in via automatica, dalla sola esistenza di un vincolo di orario, la natura subordinata della collaborazione.