Tensioni tra datore di lavoro e dipendenti: non è straining

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29059/2022, ha negato la sussistenza del cd. straining –termine con il quale si indica una sorta di mobbing attenuato, in quanto non vi è una vera e propria azione vessatoria continuata nel tempo, ma l’ambiente di lavoro è stressogenoin modo esorbitante la normale tollerabilitànel caso in cui vi siano semplicemente “forti divergenze sul luogo di lavoro” tra datore di lavoro e dipendente.

Il caso: La Corte d’Appello di Napoli con la sentenza n. 1987/2021 ha confermato la pronuncia di primo grado di rigetto della domanda di risarcimento dei danni per mobbing/straining proposta da una lavoratrice, che sosteneva di aver subito una pluralità di condotte persecutorie.

La Corte d’Appello rigettava la predetta domanda, sul presupposto che la ricorrente non era riuscita a provare l’intento lesivo dei comportamenti asseritamente dannosi e che comunque, quella emersa tra le parti era solamente una accesa conflittualità, mai trasmodata in un comportamento vessatorio.

La Corte di Cassazione ha confermato suddetta sentenza.

Perché c’interessa: la Suprema Corte, nella pronuncia in commento, definisce i limiti dello straining.

In particolare, la Corte di Cassazione ha preliminarmente rilevato che il datore di lavoro potrebbe risultare responsabile ai sensi dell’art. 2087 c.c., nell’ipotesi in cui l’ambiente di lavoro si manifestasse “di per sé nocivo per la connotazione indebitamente stressogeno”.

Secondo i Giudici di legittimità, tuttavia, tale circostanza non ricorre laddove si delinei “soltanto una situazione di forti divergenze sul luogo di lavoro e come tali non intercettano una situazione di nocività, perché il rapporto interpersonale, specie se inserito in una relazione gerarchica continuativa e tanto più in una situazione di difficoltà amministrativa quale emerge dagli atti, è in sé possibile fonte di tensioni, il cui sfociare in una malattia del lavoratore non può dirsi, se non vi sia esorbitanza nei modi rispetto a quelli appropriati per il confronto umano nelle condizioni sopra dette, ragione di responsabilità ai sensi dell’art. 2087 c.c.”.