La tardività della contestazione disciplinare non integra l’insussistenza del fatto addebitato al lavoratore
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18070/2023, ha dichiarato che “la circostanza che il fatto tardivamente contestato comporti l’illegittimità del licenziamento non implica di per sé che lo stesso sia insussistente”.
Il caso: La Corte di Appello di Caltanissetta, in riforma della sentenza del Tribunale di Gela, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento disciplinare irrogato al Lavoratore dalla Banca datrice di lavoro, ritenendo che i fatti contestati fossero pacifici nella loro materialità e che costituissero delle gravi inadempienze disciplinari in quanto consistenti nella violazione di procedure per lo svolgimento di determinate operazioni bancarie, che il dipendente non poteva in alcun modo mettere in discussione o modificare.
Tuttavia, la Corte territoriale, rilevata l’intempestività della contestazione di addebiti, in quanto intervenuta a distanza di circa un anno dalla data in cui il fatto era stato pienamente accertato, ha ritenuto applicabile nella specie la sola tutela risarcitoria dettata dall’art. 18, comma 6, L. n. 300/70 in caso di vizio procedimentale, con condanna della Banca al pagamento di un’indennità risarcitoria liquidata in dieci mensilità.
Il lavoratore ha presentato ricorso per la cassazione della suddetta pronuncia, deducendo che la Corte di Appello, nel dichiarare illegittimo il licenziamento per tardività della contestazione, non ha rilevato in suddetta circostanza una causa di insussistenza del fatto contestato e non ha, pertanto, applicato la tutela reintegratoria di cui all’art. 18, comma 4, L. n. 300/70.
Perché ci interessa: nella pronuncia in oggetto il Supremo Collegio si è espresso sulle conseguenze giuridiche della contestazione di addebito tardiva, soffermandosi sulla idoneità (o meno) di siffatta tardività ad integrare l’insussistenza del fatto posto a fondamento del licenziamento.
La Corte di Cassazione, nella parte motiva della pronuncia, ha osservato che la tutela reintegratoria prevista dall’art. 18 comma 4 L. n. 300/70 è applicabile esclusivamente ove il fatto sia insussistente nella sua materialità, circostanza che non ricorre in caso di “inosservanza di un tempo ragionevole per intraprendere il procedimento disciplinare” e, quindi, nell’ipotesi di tardività della contestazione.
Il Collegio, pertanto, ha concluso affermando che “resta dunque integro il potere del giudice di verificare se il fatto addebitato, in disparte la tempestività delle contestazione,configuri o meno un grave illecito disciplinare sul quale fondare la risoluzione del rapporto di lavoro ed accertatane la sussistenza nella sua materialità occorre altresì verificarne la sua illiceità e, solo ove la si escluda, può trovare applicazione la tutela prevista dall’articolo 18, comma 4, della l. n. 300 del 1970”.
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La pronuncia, inoltre, ci interessa in quanto – una volta esclusa l’applicabilità della tutela reintegratoria – il Supremo Collegio si è interrogato sulla riconducibilità della fattispecie all’ipotesi residuale di cui all’art. articolo 18, comma 5, della l. n. 300/1970 (“nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa ….”) ovvero al mero vizio procedurale di cui all’articolo 18, comma 6, della l. n. 300/1970.
Per l’individuazione della tutela applicabile, occorre distinguere, a detta della Corte, a seconda che nel caso di specie vi siano (o meno) delle norme del CCNL ovvero di legge contemplanti dei termini per la contestazione dell’addebito disciplinare.
Invero, mentre nel primo caso, la tardività integra una violazione di norme procedimentali con conseguente applicazione del comma 6 del citato articolo 18, nel secondo caso deve trovare applicazione l’articolo 18 comma 5 della L. n. 300 del 1970 (“In sintesi, in questo caso – pur sussistente l’inadempimento posto a base del licenziamento – la mancanza di una tempestiva contestazione disciplinare in violazione dei principi di correttezza e buona fede comporta il venir meno della punibilità per effetto della condotta dallo stesso datore di lavoro tenuta e si rientra in quelle “altre ipotesi” per le quali si applica il comma 5 dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori”).