La registrazione dei colleghi a loro insaputa durante una riunione di lavoro è legittima?

Il Tribunale di Venezia, con la sentenza in commento, afferma che la registrazione raccolta da un lavoratore durante una riunione è lecita allorquando sia eseguita per “tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova, rispondendo la stessa, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, alle necessità conseguenti al legittimo esercizio di un diritto (Cass., 10 maggio 2019, n. 12534; Cass., 10 maggio 2018, n. 11322; Cass., 29 dicembre 2014, n. 27424)”, purché la conservazione del file audio perduri per il solo tempo strettamente necessario a far valere i propri diritti. (Trib. Venezia, sez. II, 2 dicembre 2021, n. 2286)

Il caso: nel corso di una riunione aziendale un lavoratore dipendente ha occultamente effettuato una registrazione delle conversazioni dei suoi colleghi e dei dirigenti.

Il lavoratore aveva altresì conservato il file audio (ciò che costituisce trattamento dei dati ai fini del GDPR) e lo aveva inviato a due colleghi (assenti alla riunione), i quali, due anni dopo, lo avevano prodotto in un giudizio intentato contro la datrice di lavoro.

Perché ci interessa: la decisione  in commento ci interessa perché statuisce: i) che la registrazione delle conversazioni sul luogo di lavoro costituisce trattamento dei dati personali; ii) che la raccolta e l’utilizzo di tale registrazione non rientrano nell’esenzione dell’applicazione delle disposizioni Reg. UE 2016/679 previste per l’uso personale o domestico; iii) che tale trattamento dei dati è lecito esclusivamente se finalizzato alla tutela di un diritto in sede giudiziaria; iv) che incombe sul titolare del trattamento (nel nostro caso i lavoratori che avevano acquisito la registrazione) l’onere di provare che i propri interessi legittimi prevalgono su quelli dell’interessato (il datore di lavoro nella persona dei propri lavoratori registrati).

In particolare, muovendo dalla premessa che i trattamenti dei dati personali posti in essere dai colleghi non possono configurarsi come attinenti alla sfera privata e familiare in quanto comunque connessi “con un’attività commerciale o professionale”, il Tribunale ha affermato che il titolare del trattamento che intenda paralizzare l’utilizzo delle registrazioni in giudizio è onerato della prova dell’esistenza di “motivi legittimi cogenti per procedere al trattamento che prevalgano su interessi, diritti e libertà fondamentali dell’interessato oppure per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria”, in assenza dei quali il trattamento deve ritenersi “illecito per mancanza di una delle sue basi giuridiche”.

Teniamo ulteriormente a ricordare che il trattamento dei dati personali avviene in modo lecito allorquando che questi siano “raccolti per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente possano essere trattati in modo che non sia incompatibile con le stesse” e gli stessi vengano conservati “per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per cui sono stati trattati”. In considerazione di ciò, i lavoratori che abbiano raccolto registrazioni sul luogo di lavoro non potranno archiviarle per un tempo che ecceda quello necessario a far valere i propri diritti, per il che è illegittimo registrare conversazioni in via preventiva nella previsione, meramente ipotetica, che una eventuale lite possa sorgere in un momento futuro.