Il dipendente che viene licenziato per aver utilizzato una minima frazione temporale dei permessi ex l. 104/92 per compiere attività diverse rispetto all’assistenza del parente con handicap grave può chiedere di essere reintegrato nel posto di lavoro?
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 6796/2022, confermando quanto statuito dalla Corte di Appello di Perugia nella decisione n. 66/2019, definisce illegittimo il licenziamento del lavoratore che ha utilizzato una esigua porzione dei permessi ex art. 33 co. 3 l. 104/92 per finalità diverse rispetto a quella di assistenza del parente con handicap grave, affermando che in tale ipotesi la sanzione espulsiva risulta sproporzionata rispetto all’illecito posto in essere dal lavoratore.
Tuttavia, la Suprema Corte non ha ritenuto applicabile il rimedio reintegratorio nel caso di specie affermando che “nell’ipotesi di sproporzione tra sanzione e infrazione, va riconosciuta la tutela risarcitoria se la condotta dimostrata non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi o i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa, ricadendo la proporzionalità tra le altre ipotesi di cui all’art. 18, comma 5, della l. n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, della l. n. 92 del 2012, per le quali è prevista la tutela indennitaria cd. forte”.
Vediamo in dettaglio.
Il caso: il licenziamento era stato comminato ad un lavoratore (assunto prima del 7.03.2012), sulla base di tre addebiti con i quali l’azienda aveva contestato al dipendente di aver fruito di tre permessi ai sensi dell’art. 33 co. 3 della L. 104/92 (corrispondenti, ciascuno,ad un intero turno lavorativo di otto ore), per dedicarsi ad attività estranee all’assistenza della madre, soggetto portatore di handicap gravi.
I giudici di merito hanno rilevato, attraverso una valutazione degli elementi probatori ed una ricostruzione dei tre episodi contestati, che i comportamenti del lavoratore estranei alle esigenze di assistenza dei disabili per le quali erano stati concessi i permessi, quantitativamente avevano interessato solo 3 ore delle 24 complessive.
Perché ci interessa: La decisione in commento ci interessa perché la Suprema Corte ha ritenuto che l’utilizzo di un permesso ex art. 33 L. 104/92, in minima parte di per motivi differenti rispetto a quelli assistenziali, non costituisce giusta causa di licenziamento. Tuttavia, tale comportamento costituisce un abuso del diritto del lavoratore, con la conseguenza che il Giudice, investito della questione, dovrà applicare la disciplina di cui all’art. 18, co. 5, Statuto dei lavoratori, perché la condotta contestata al lavoratore non rientra tra le condotte punibili con sanzioni conservative.
Alla stregua delle suesposte considerazioni nel caso di specie il rapporto di lavoro dovrà essere dichiarato risolto, con applicazione di una tutela risarcitoria compresa tra 12 e 24 mensilità.
Riteniamo altresì di interesse che, nella sentenza in commento, i giudici di legittimità, sulla scorta di quanto stabilito anche dai giudici di merito, hanno ribadito che, qualora l’elemento che vizia il licenziamento sia la sola sproporzione tra la sanzione e l’infrazione, l’unica tutela da riconoscere al dipendente è quella risarcitoria e non anche quella reintegratoria.