È legittimo il licenziamento del RLS che svolge attività personali durante le ore di permesso?

La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17287/2022, ha affermato la legittimità del licenziamento per giusta causa irrogato dal datore di lavoro al lavoratore che “per la maggior parte del periodo in cui aveva usufruito dei permessi connessi all’incarico di rappresentante per la sicurezza(RLS) aveva svolto attività in gran parte incompatibili con detto incarico”.

Il caso: La Corte di Appello di Salerno, con sentenza n. 458/2018, ha annullato la pronuncia di primo grado che dichiarava l’illegittimità del licenziamento disciplinare  intimato al lavoratore sulla base di una contestazione che gli addebitava la fruizione (in qualità di rappresentante per la sicurezza dei lavoratori di sito produttivo di permessi giornalieri) per oltre tre mesi continuativi, nel periodo dal gennaio ad aprile 2016, per finalità personali, diverse da quelle per le quali i detti permessi erano stati previsti e concessi.

La Corte di Cassazione ha confermato suddetta sentenza.

Perché c’interessa: la Suprema Corte, con la pronuncia in oggetto, ha dichiarato la legittimità del licenziamento del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) che, durante le ore di permesso, svolga per la maggior parte del tempo attività del tutto estranee alle proprie funzioni, e ha anche confermato la correttezza dell’operato dei giudici di merito in ordine agli oneri di allegazione e prova, non ritenendo ravvisabile nella sentenza impugnata, un sovvertimento dell’onere probatorio in tema di giusta causa di licenziamento.

Invero, il lavoratore, avanti la Suprema Corte, lamentava che il datore di lavoro non avesse dato prova della sussistenza del motivo giustificante il licenziamento, perché si era affidato a un report investigativo, non realmente rappresentativo dell’attività espletata dal lavoratore stesso.

Orbene, Secondo la Corte di Cassazione, i giudici di merito – all’esito dell’analitico vaglio delle risultanze delle risultanze investigative (confermate in sede di prova orale) – hanno correttamente ritenuto assolto l’onere della prova gravante sul datore di lavoro e che, invece, costituisse onere del lavoratore offrire elementi idonei a incrinare tale quadro.

In altri termini, secondo i Giudici di legittimità, alla luce di un “quadro probatorio consolidato nel senso di attribuibilità al lavoratore del fatto contestato” (e cioè del disimpegno di affari personali anziché istituzionali), sarebbe spettato al lavoratore l’onere della prova contraria relativo all’effettivo espletamento dell’incarico per cui erano stati concessi i permessi.

Su tali presupposti, e non ritenendo assolto detto onere nel caso di specie, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del lavoratore e confermato la legittimità del recesso irrogatogli.